Con l’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016 n. 76 è terminato il percorso di approvazione del “Disegno di legge sulla Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso
e disciplina delle convivenze”, meglio noto come “ddl Cirinnà”, dal nome della sua proponente, Monica Cirinnà.
Dell’accidentato iter di approvazione si trova traccia già ad una prima lettura delle norme: il testo – soprattutto relativamente ai risvolti applicativi delle norme – risente della soluzione di compromesso che ne ha determinato, appunto, l’approvazione .
Al comma 1 dell’articolo 1 il legislatore si premura di affermare che l’unione civile è una “specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della costituzione”. Questa qualificazione sembra voler separare nettamente l’istituto dell’Unione civile da quello del matrimonio, che è specificamente previsto all’interno dell’articolo 29 Cost. Tale distinzione sembrerebbe volta a creare una dicotomia tra “famiglia” che resterebbe solamente quella creata con il matrimonio, e “unione civile”, che rimarrebbe una più generica formazione sociale. In questa sede è ancora troppo presto per effettuare una valutazione definitiva, tuttavia viene da chiedersi come i giudici prima e, semmai insorgesse il caso, la Corte Costituzionale poi, interpreteranno il riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione. In particolare sarà d’interesse osservare se i tribunali riterranno l’unione civile come una formazione sociale tra le altre, oppure vorranno concederle una sua specificità, creando in via giudiziale una sorta di “matrimonio omosessuale”, dunque arrivando ad applicare alle Unioni gli articoli della Costituzione che riguardano il matrimonio “eterosessuale”, in particolare gli articoli 30 e 31, dedicati il primo all’obbligo di istruzione dei figli, il secondo alla tutela che lo stato concede alla famiglia. La stessa questione si ripropone poi, in maniera forse più spinosa, per le convivenze di fatto, che nel testo di questa legge tendono sempre più a diventare situazioni “di diritto”, nonostante il nomen faccia pensare il contrario: nulla infatti è previsto per quanto riguarda la tutela della famiglia di fatto.
(dott. Nicolò Sanguineti)
Al netto dei principi costituzionali, l’approccio seguito dal legislatore nel disciplinare la materia delle unioni civili è stato abbastanza deciso: in via generale sono stati estesi gli istituti e le tutele previste per il matrimonio anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Le uniche differenze che rimangono, come si dirà in seguito, sono più formali che sostanziali e sembrano tutte tese a rendere l’unione civile come istituto “anafettivo”, in cui il sentimento che dovrebbe sorreggere il matrimonio non riceve alcuna forma di tutela giuridica. Per quanto riguarda invece la disciplina delle convivenze di fatto, vi sono novità consistenti: i tipici diritti del coniuge di assistenza morale e materiale sono stati quasi completamente estesi al convivente e soprattutto è stata data una compiuta disciplina per la sistemazione del regime patrimoniale all’interno della convivenza, che ad oggi potrà venire sancito per tabulas tramite un atto pubblico od una scrittura privata autenticata.
Più nello specifico, la legge 76 comincia la sua trattazione delle unioni civili definendo gli atti formali necessari alla loro costituzione: due soggetti maggiorenni, dello stesso sesso, potranno costituire un’unione civile mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile. Tale dichiarazione verrà poi trascritta nel registro dello stato civile, in maniera identica a quanto avviene per il matrimonio civile. La disposizione è appropriata, poiché si pone correttamente nel segno di una (quasi) totale equiparazione tra matrimonio ed unione civile che la legge 76 sembra delineare, pur in presenza di alcune significative differenze.
La legge prosegue poi definendo le cause impeditive, risolutive e di annullabilità dell’unione civile, che essenzialmente ricalcano quanto già previsto nel caso del matrimonio civile. L’unica assenza particolare, ma che non inficia in alcun modo i diritti della coppia omosessuale, è la mancata trasposizione dei tipici adempimenti prematrimoniali: la promessa di matrimonio e le pubblicazioni.
Gli obblighi che le parti di un’unione civile si assumono nella loro dichiarazione sono in parte differenti da quelli previsti per il matrimonio: permangono quelli di coabitazione ed assistenza morale e materiale, mentre non sono menzionati gli obblighi di fedeltà ed istruzione della prole. Queste assenze sembrano presumere l’unione civile come unione “anaffettiva” ed “infertile”, anche in correlazione con il riferimento esplicito agli articoli 2 e 3 che qualificando l’unione come “formazione sociale” non le attribuisce alcuna valenza ulteriore. Tuttavia se si adotta quest’ottica non si comprende come mai la stessa legge Cirinnà si curi di disporre le stesse identiche incompatibilità previste per il matrimonio anche alle unioni civili, in particolare quelle che vietano l’unione tra cugini di primo grado e tra zia e nipote. Per una definitiva sistemazione di queste, apparenti, incongruenze, saranno fondamentali le pronunce dei giudici, che daranno un contributo fondamentale all’attuazione delle unioni civili in un senso più “matrimoniale” o più neutro.
Per quanto riguarda invece il regime patrimoniale dell’unione civile, la legge 76 ricalca pedissequamente quanto contenuto nel codice civile in tema di regime economico tra coniugi, tanto da estendere ad essa l’applicazione degli articoli da 159 a 203-bis del codice. In particolare varrà, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, il regime della comunione dei beni, identicamente a quanto previsto dal codice civile per il matrimonio. All’unione civile inoltre si applicano anche gli istituti del codice che prevedono la corresponsione del TFR al coniuge superstite ed in generale tutte le discipline in tema di diritto alla visita ed all’assistenza del coniuge, pensioni di reversibilità e subentro nella locazione del coniuge defunto.
Si prevede poi, in via generale, “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile”, che ogni disposizione che si riferisca al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge” o”coniugi” o altri termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti amministrativi e nei contratti collettivi, si applichino ad ognuna delle parti dell’unione civile. In sintesi questo comma dispone una generale estensione dei diritti e dei doveri posti in capo ai coniugi dai più importanti testi cogenti dell’ordinamento.
Rimangono tuttavia fuori da questa estensione di tutela le previsioni del codice civile non espressamente richiamate nella legge e soprattutto le disposizioni contenute nella legge 4 maggio 1983 n. 184. Quest’ultima legge disciplina in via generale casi e modi in cui un adulto può adottare un minore: la sua espressa esclusione dal novero delle estensioni dovrebbe fare sì, per quanto riguarda gli aspetti più discussi nel confronto politico, che sia impossibile la così detta stepchild adoption, l’adozione del figliastro, per la quale è possibile adottare il figlio, naturale o adottivo, del proprio partner. Infatti negli ultimi anni stava cominciando a delinearsi una giurisprudenza che consentiva l’adozione del figliastro all’interno di una coppia omosessuale applicando l’articolo 44 della l. 184/1983, che consente l’adozione anche a chi non sia coniugato, qualora sia nell’interesse supremo del minore (di fatto non vi era alcuna precisazione sull’orientamento sessuale dei coniugi).
Per quanto riguarda lo scioglimento dell’unione, la legge si limita a prevedere che questo avvenga, oltre ai casi di scioglimento ex lege già previsti dal codice per il matrimonio ed estesi anche all’unione, quando vi sia il consenso, dato anche disgiuntamente all’ufficiale dello stato civile, a terminare l’unione. La domanda giudiziale va proposta entro tre mesi dalla data di manifestazione della volontà di scioglimento. Al “divorzio consensuale” dall’unione sono poi applicabili alcuni articoli della legge 898/1970, ed in particolare proprio quelli sul vero divorzio consensuale. Inoltre se intervenisse un cambio di sesso all’interno di un matrimonio e nessuno dei coniugi manifestasse il suo dissenso a continuare il rapporto, il matrimonio si cambierebbe ex lege in unione civile, con rettifica del registro dello stato civile.
Infine le ultime previsioni in tema di unioni civili contenute nella legge 76/2016 conferiscono al governo la delega per adottare i decreti delegati in materia di adattamento delle leggi vigenti che disciplinano il registro di stato civile, il diritto internazionale privato italiano e più in generale per ogni ambito del diritto che sia toccato dalla legge in questione.
L’altra “metà” della legge 76/2016 è invece dedicata alle convivenze di fatto ed alla loro regolamentazione. Innanzitutto la legge afferma che si intendono come “conviventi di fatto”: “Due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o unione civile”. Da questi presupposti appare che anche gli omosessuali potranno utilizzare lo strumento della convivenza di fatto. Da ciò discende peraltro una conseguenza molto importante: l’adozione del figlio del partner, esclusa per le unioni civili, sembra essere, quantomeno, non vietata per le coppie conviventi. Se tale situazione venisse confermata dalle pronunce del giudice giudiziali si sarebbe di fronte ad una grande irragionevolezza: alle persone unite in un’unione civile, un contratto per molti versi simile al matrimonio per obblighi e diritti, è preclusa l’adozione, mentre ai soggetti uniti in una convivenza, che per sua natura è una situazione più sfumata e meno duratura dell’unione civile, questa sarebbe consentita o almeno non espressamente vietata.
Al di là delle considerazioni de iure condendo, la nuova disciplina della convivenza estende molti diritti del coniuge anche alla persona convivente: questa potrà godere degli stessi diritti riservati al coniuge dall’ordinamento penitenziario; avrà la possibilità di far visita ed assistere il partner in caso di malattia e ricovero; potrà autonomamente designare lo stesso partner come rappresentante per le decisioni in materia di salute e donazione di organi nei casi previsti dalla legge. Inoltre il convivente avrà anche la possibilità di subentrare nella locazione del convivente e di abitare, per un periodo di tempo comunque non inferiore a due anni dalla morte del coniuge, nella casa di proprietà di questo. Termini più lunghi sono previsti nel caso in cui vi siano figli minori o disabili (non meno di 3 anni). Allo stesso modo il convivente avrà diritto a giovarsi delle agevolazioni previste nelle graduatorie pubbliche per l’assegnazione degli alloggi popolari per chi appartenga ad un nucleo famigliare.
Per quanto riguarda poi i rapporti patrimoniali tra i conviventi di fatto la legge 76/2016 ha recepito la prassi in tema di contratti che si era delineata nella pratica: al comma 50 è previsto che i conviventi di fatto possano disciplinare i propri rapporti tramite contratto di convivenza, che va redatto nelle forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, a pena di nullità. Il contratto in questione, per essere opponibile a terzi, dovrà essere trascritto presso l’anagrafe del comune di residenza dei conviventi. Nel contratto di convivenza potranno essere inserite l’indicazione della residenza comune, le modalità di contribuzione alle necessità della vita e, se ritenuto opportuno, il regime della comunione dei beni, per come previsto dal codice civile. Lo stesso contratto di convivenza non potrà essere sottoposto né a termine né a condizione; in caso contrario essi si intenderanno come non apposti. Il contratto di convivenza sarà insanabilmente nullo, oltre che per le cause delineate in genere per tutti i contratti, per alcune cause tipiche, già previste per il matrimonio, quali la minore età di uno dei conviventi o lo stato di membro di un’unione civile da parte di un convivente. Qualora, per qualsiasi motivo, il contratto si risolva, la risoluzione dovrà essere fatta nelle stesse forme usate per la redazione del contratto.
Infine, quando la convivenza di fatto cessi, il giudice stabilirà se ed in che modo il convivente avrà diritto agli alimenti, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In questi casi la durata dell’assegno sarà proporzionale alla durata della convivenza.
(dott. Nicolò Sanguineti)
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