La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla morte di un paziente nel reparto di medicina generale di un ospedale sito in Genova per il quale era stato condannato per omicidio colposo il chirurgo al quale si contestava di aver cagionato per colpa la morte del paziente che all’atto del ricovero presentava una sintomatologia riferibile alla fessurazione dell’aneurisma dell’aorta addominale. Al chirurgo si addebitava di aver omesso di attuare tempestivamente, all’aggravamento della sintomatologia, ogni specifica attività diagnostica e terapeutica. La tac veniva eseguita solo il giorno seguente al peggioramento, quando il quadro di rottura dell’aneurisma dell’aorta era già conclamato. In tal modo, secondo l’impianto accusatorio, l’imputato aveva compromesso la possibilità di guarigione e causato la morte del paziente, nonostante l’effettuazione dell’intervento chirurgico di rimozione dell’aneurisma.
Il Tribunale di Genova dichiarava il chirurgo responsabile del delitto di omicidio colposo e concesse le attenuanti generiche, lo condannava a 4 mesi di reclusione e al risarcimento del danno.
La Corte di Appello di Genova confermava integralmente la sentenza di primo grado che era stata appellata dal Procuratore Generale, dalla parte civile e dall’imputato. Il Collegio della Corte di Appello rilevava che l’effettuazione di un’indagine ecografica avrebbe consentito […] di visualizzare l’aneurisma;e che,nel caso di specie, le possibilità di rilevare l’’aneurisma erano particolarmente elevate , a causa delle cospicue dimensioni dello stesso […] che il paziente accusava forti e persistenti dolori addominali […] che la mancata disposizione, da parte del […] dell’esecuzione , in via d’urgenza di una ecografia addominale e, in seguito, di una eventuale TAC, rappresentava una condotta omissiva caratterizzata da profili di colpa, per imperizia e per negligenza e che il rischio di esito infausto dell’intervento chirurgico dell’aneurisma all’aorta, qualora non si versi in fase di rottura, è prossimo al 5%.
L’imputato proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova contestando, tra l’altro che, anche qualora si ritenesse la sua condotta viziata da colpa per imperizia, andava comunque valutato il grado della colpa, alla luce della norma di cui all’art. 3, legge n.189 del 2012. Al riguardo, considerava che occorreva valutare se il medico si fosse attenuto, o meno, alle linee guida e se in tale ambito emergessero profili di colpa grave in base all’assunto normativo secondo cui l’esercente la professione sanitaria, che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 23283 dell’ 11 maggio 2016, ha affermato che il percorso motivazionale sviluppato dalla Corte territoriale appare effettivamente carente, in riferimento al tema della ascrivibilità colposa della condotta omissiva in quanto l’art. 3 della legge 189 del 2012 ha dato luogo ad un abolitio criminis parziale degli art. 589 e 590 cod. pen., avendo ristretto l’area penalmente rilevante individuata dalle predette norme incriminatrici, giacché oggi vengono in rilievo unicamente le condotte qualificate da colpa grave […] la restrizione della portata dell’incriminazione ha avuto luogo attraverso due passaggi:l’individuazione di un’area fattuale costituita da condotte aderenti ad accreditate linee guida; e l’attribuzione di rilevanza penale, in tale ambito, alle sole condotte connotate da colpa grave, poste in essere nell’attuazione in concreto delle direttive scientifiche. L’evidenziato parziale effetto abrogativo comporta, conseguentemente, l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 2, comma 2, cod. pen., e quindi l’efficacia retroattiva del combinato disposto di cui agli artt. 3, legge n. 189/2012 e 589 e 590 cod. pen […] stante la natura della contestazione elevata all’odierno imputato […] la Corte di Appello, avanti la quale si è celebrato il relativo giudizio, nell’anno 2015, aveva il dovere di esaminare d’ufficio la regiudicanda, per effetto dell’art.2, comma 2, cod. pen., tenendo conto della intervenuta parziale abrogazione della norma discriminatrice, ad opera della richiamata legge n. 189 del 2012. La Corte distrettuale avrebbe, cioè dovuto verificare, in punto di fatto, se la condotta poteva dirsi aderente ad accreditate linee guida; e se la stessa fosse connotata da colpa grave, nell’attuazione in concreto delle direttive scientifiche.
La Quarta Sezione della Suprema Corte, nel caso di specie, ha ritenuto che le valutazioni effettuate dai giudici di merito in ordine alla colpa prescindono da considerazioni rispetto al tema delle linee guida e delle prassi terapeutiche e al grado della colpa affermando il principio di diritto che “nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore dell’art. 3, legge n. 189/2012 relativi ad ipotesi di omicidio o lesioni colpose ascritte all’esercente la professione sanitaria, in un ambito regolato dalle linee guida, di talché il processo verta sulla loro applicazione, stante l’intervenuta parziale abrogatio criminis delle richiamate fattispecie, in osservanza dell’art. 2, comma 2, cod. pen. ( retroattività della norma più favorevole), occorre procedere d’ufficio all’accertamento del grado della colpa, giacché le condotte qualificate da colpa lieve sono divenute penalmente irrilevanti.”
Quindi la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata poiché viziata dall’omessa applicazione della sopravvenuta disciplina più favorevole, in materia di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, con rinvio al giudice di merito per un nuovo esame sulla sussistenza e sul grado dell’eventuale responsabilità colposa.
Infine la Quarta Sezione della Corte ha enunciato, sulla base della norma contenuta all’art. 3, comma 1, legge n. 189 del 2012, in combinato disposto con l’art. 43, comma 3, c.p., il principio di diritto che la limitazione di responsabilità, in caso di colpa lieve, può operare, per le condotte professionali conformi alle linee guida ed alle buone pratiche, anche in caso di errori che siano connotati da profili di colpa generica diversi dalla imperizia. Quindi la Corte ha allargato i confini della scriminante introdotta con la legge n. 189 del 2012, rispetto agli orientamenti della giurisprudenza costruiti negli ultimi anni che affermano che la limitazione di responsabilità in caso di colpa lieve opera soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida contenenti regole di perizia e non si estende agli errori connotati da negligenza o imprudenza (es. Sez. IV sent. 11493 del 2013 e Sez. IV sent. 26996 del 2015).
Si tratterà a questo punto di capire, tra i diversi orientamenti delle sezioni, quale sarà il definitivo criterio di applicazione della legge 189 del 2012 considerati i contrasti giurisprudenziali che stanno emergendo.
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