L’art. 12, comma 7, dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) sancisce il principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente nella misura in cui dispone che il contribuente ha la facoltà di comunicare, entro sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, osservazioni e richieste che devono essere valutate dagli uffici impositori, termine prima del quale non si può precedere alla notifica dell’avviso di accertamento, pena la nullità dell’avviso stesso per vizio del procedimento.
Dal punto di vista strettamente letterale, la norma sopra menzionata si riferisce esclusivamente all’avviso di accertamento, ovvero all’atto autoritativo in cui, di norma, sfociano le operazioni di verifica ed ispezione eseguite dall’Agenzia delle Entrate.
Tuttavia, il potere impositivo dell’Amministrazione finanziaria non si esprime solo attraverso il suddetto atto, ma anche attraverso l’atto di recupero, che è il provvedimento impositivo, introdotto dall’art. 1, comma 421 L. 311/2004, specificatamente finalizzato alla riscossione dei crediti d’imposta indebitamente fruiti in tutto o in parte (anche in compensazione). Tale strumento impositivo si caratterizza per la presenza di un doppio binario che si fonda, di fatto, sulla differenza sostanziale che vi è tra credito non spettante – ovvero il credito esistente che però presenta delle irregolarità (errori di quantificazione e/o qualificazione) – e credito inesistente, ovvero per il quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli automatici di cui all’art. 36bis DPR 600/73 ed in controlli formali ex art. 36ter DPR 600/73.
Ne consegue che mentre per i crediti non spettanti il termine decadenziale per notificare l’atto di recupero è di cinque anni, come per l’avviso di accertamento, ed il credito indebitamente fruito è contestabile sia con avviso bonario da controllo automatico ex artt. 36bis D.P.R. 600/73 e 54bis DPR 633/72 (per il quale è prevista la sanzione ridotta del 30% come nell’ipotesi di omessi versamenti), sia tramite l’atto di recupero, per i crediti inesistenti, invece, il termine decadenziale è di otto anni, ovvero il relativo atto di recupero deve essere notificato al contribuente entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo. Inoltre, il regime sanzionatorio è più gravoso rispetto a quanto previsto per l’avviso di accertamento in quanto non vi è possibilità di definizione agevolata e le sanzioni applicabili sono dal 100 al 200%.
Alla luce della peculiarità del regime applicabile all’atto di recupero del credito, la giurisprudenza, sia di merito che, conseguentemente, di legittimità, si è interrogata se il temine dilatorio di 60 giorni ex art. 12 comma 7 L. 212/2000 sia applicabile anche all’atto di recupero del credito e non solo all’avviso di accertamento.
Orbene, superando la rigida interpretazione letterale dell’art. 12, comma 7 L. 212/2000 – peraltro avvallata dalla giurisprudenza di merito – che espressamente riferisce il termine dilatorio ai procedimenti volti all’emanazione dell’avviso di accertamento, la Cassazione civile, Sezione Tributaria, con la recente ordinanza n. 23223 del 25.07.2022, nel confermare il precedente orientamento di cui alla sentenza Cass. civ. sez. trib. 25/01/2017 n. 1969, ha precisato il seguente principio di diritto:
“In tema di diritti e garanzie del contribuente, all’avviso di recupero di credito d’imposta è applicabile il termine dilatorio di sessanta giorni dalla conclusione della verifica fiscale previsto dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, in ragione della sostanziale equiparazionetra tale atto accertativo della pretesa tributaria, con natura impositiva, e l’avviso di accertamento. Ne consegue l’illegittimità dell’avviso di recupero di credito d’imposta emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva“.
Tale principio di diritto trova fondamento nell’esigenza di assicurare il contraddittorio del contribuente, garanzia espressa per l’appunto dall’art. 12, comma 7, della L.212/2000 che riguarda tanto il procedimento impositivo culminante nell’avviso di accertamento, tanto quello che si conclude con l’atto di recupero del credito e che, quindi, prescinde dal nomen iuris dell’atto emanato dall’Autorità finanziaria.
Infatti, il contraddittorio endoprocedimentale, consentito dal termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 comma 7 L. 212/2000, si estende ad ogni provvedimento di natura impositiva: ne deriva che l’emissione dell’atto di recupero prima del decorso del termine di 60 giorni determina la nullità dell’avviso impositivo poiché deve ritenersi preminente l’esigenza generale di assicurare il contraddittorio e ciò a prescindere dalla discrezionalità e dalla tipologia dell’atto impositivo.
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