Il 12 aprile di quest’anno la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il D.d.L. costituzionale 1429/2014 (il così detto “ddl Boschi”, dal nome della sua prima firmataria), in cui sono contenute importanti modifiche all’assetto costituzionale della Repubblica. Nonostante la legge sia già stata approvata dal Parlamento, occorrerà comunque un referendum confermativo perché questa possa entrare a tutti gli effetti in vigore. Infatti ai sensi dell’articolo 138 Cost., che disciplina il procedimento legislativo costituzionale, “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”. Tuttavia, se alla seconda votazione il testo è stato approvato con una maggioranza inferiore ai 2/3 dei componenti di ciascuna Camera, esso viene è sottoposto a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Nel caso del d.d.l. “Boschi” sono stati i parlamentari appartenenti alla compagine di maggioranza a proporre il referendum, che dovrebbe dunque svolgersi dopo l’estate, parrebbe in ottobre. Il d.d.l, se approvato, apporterà importanti modiche alla Costituzione, cambiando radicalmente l’assetto previsto dall’Assemblea Costituente. Per sommi capi questi sono i cambiamenti che interverranno.
Innanzitutto la così detta “Fine del Bicameralismo perfetto”: l’articolo 1 del ddl sostituisce l’attuale articolo 55 con una nuova versione, che differenzia nettamente le attribuzioni di Camera e Senato. La Camera dei deputati (e solo essa) infatti sarà “titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo; il Senato invece “rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea”.
La modifica più rilevante è quindi la mancanza di un rapporto di fiducia tra Senato e Governo; ciò significa che, nei fatti, il Senato non potrà più sfiduciare il Governo presentando una mozione in tal senso. Non è mistero alcuno infatti che, dall’introduzione della leggi elettorali c.d. “mattarellum” e c.d. “porcellum”, mentre alla Camera dei deputati era facile per un partito od una coalizione acquisire una maggioranza di governo abbastanza solida, al Senato il partito “vincitore” delle elezioni era spesso costretto a continue intese e collaborazioni, a causa del metodo di formazione della rappresentanza all’interno della Camera Alta, che rendeva più difficile individuare una chiara maggioranza di governo. Dunque la scelta di eliminare il rapporto fiduciario tra Senato e Governo si pone nel segno di una maggiore governabilità, a scapito però del pluralismo e dei diritti di concorrere alla formazione della volontà statale da parte delle minoranze in Parlamento.
Un’ulteriore modifica rilevante nelle attribuzioni delle due Camere, è quella che vede la funzione legislativa attribuita, in generale, alla sola Camera dei Deputati. Le due camere infatti eserciteranno congiuntamente il potere legislativo, si legge all’articolo 10 del ddl, solamente per una serie chiusa e limitata di provvedimenti. In tutti gli altri casi non indicati espressamente, la potestà legislativa competerà alla sola Camera dei Deputati. Il Senato tuttavia potrà, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, chiedere alla Camera di esaminare un suo disegno di legge. Fuori da questo caso al Senato rimarrà solamente il diritto, gravemente condizionato, di presentare osservazioni e modifiche. Si legge infatti, sempre all’articolo 10: “Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva.”
Conseguentemente alla sua nuova qualifica di rappresentanza delle istituzioni territoriali, il Senato verrà cambiato anche nella composizione e nelle modalità elettive. Il numero dei suoi componenti, si legge all’articolo 2 del ddl, sarà pari a 100, di cui 95 propriamente rappresentativi delle comunità territoriali e 5 nominati dal Presidente della Repubblica. Per accedere al rango di Senatore tuttavia bisorrà essere consiglieri regionali oppure sindaci e si decadrà dalla carica politica qualora si decada da quella amministrativa. Il mandato dei Senatori poi coinciderà sempre con quello degli organi in cui sono stati eletti e sembrerebbe che gli elettori potranno esprimere una preferenza in merito a quale dei canditati sindaci o consiglieri regionali sarà anche eletto senatore. Infatti si legge che “La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge”.
Grandi modifiche anche per quanto riguarda le leggi elettorali nazionali, ossia quelle che disciplinano l’elezione dei membri di Camera e Senato: queste potranno essere sottoposte al sindacato preventivo di costituzionalità qualora ne faccia richiesta almeno un quarto dei componenti della Camera o un terzo dei componenti del Senato. In presenza del ricorso la Consulta dovrà pronunciarsi entro 30 giorni dalla data di proposizione del ricorso; in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale la legge non potrà ovviamente essere promulgata. Inoltre il comma 11 dell’articolo 39 del ddl consente in via transitoria, entro 10 giorni dall’entrata in vigore della legge costituzionale, un sindacato della Consulta anche sulle leggi elettorali emanate durante la presente legislatura, dunque anche il così detto “Italicum” potrà essere sottoposto ad un controllo di legittimità costituzionale.
Anche la disciplina del referendum abrogativo subirà delle modifiche: all’articolo 15 del disegno di legge sono infatti previsti due regimi di validità per il referendum:
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Se a richiedere il referendum saranno 500.000 elettori o 5 consigli regionali, vi sarà l’usuale quorum di partecipazione del 50%+1 degli aventi diritto al voto perché il referendum possa considerarsi valido;
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Se a fare richiesta saranno invece 800.000 elettori il referendum sarà considerato valido se vi parteciperanno la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati, che per il 2013 è stato pari a circa il 70% degli aventi diritto al voto.
Questo secondo regime lascia però perplessi: non si comprende perché a questo possano accedere solo le proposte appoggiate da 800.000 (numero peraltro inusuale: un milione sarebbe forse stato più comprensibile) elettori e non, trasponendo la previsione, da 8 consigli regionali. Secondariamente la scelta di un quorum legato ad una statistica flessibile come quella della partecipazione alle politiche, che diverse statistiche danno in calo da anni, non consente di attribuire eguale valore confermativo ai diversi referendum.
Sempre in tema di referendum l’articolo 11 del ddl prevede l’inserimento, nel sistema costituzionale, del referendum c.d. “propositivo” e di quello “d’indirizzo”: una legge costituzionale dovrà stabilire casi e modi con cui i cittadini potranno creare autonomamente leggi e soprattutto fornire indicazioni all’esecutivo su quali provvedimenti gradiscono e quali invece rigettano.
La decretazione d’urgenza, ossia i decreti legge, verrà più severamente regolamentata: l’articolo 15 del ddl stabilisce infatti che il governo non possa tramite essa: “reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi; ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento”. Questa previsione in realtà si limita a codificare un orientamento consolidato della Corte Costituzionale. Più importante ad avviso di chi scrive è il comma seguente, in cui è detto che i decreti debbano avere un contenuto “specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”: con questa precisazione dovrebbe auspicabilmente avere fine la prassi di inserire nei decreti legge norme che nulla c’entrano con l’0ggetto principale del provvedimento. Infine, sono fissati limiti tassativi per la discussione e la conversione dei decreti legge in legge, che deve avvenire non più di 30 giorni dopo la presentazione alle Camere.
Vi sarann0 modifiche rilevanti anche per l’elezione del Presidente della Repubblica, come sancito all’articolo 21 del ddl. L’elezione avverrà sempre ogni sette anni, ma a votare saranno solo i rappresentanti del Parlamento in seduta comune, senza l’apporto dei delegati regionali (che non avrebbero più alcuna funzione, dato che sarà il Senato a rappresentare le comunità territoriali). Inoltre cambieranno anche le maggioranze necessarie per l’elezione: il nuovo schema prevede che i primi tre scrutini richiedano la maggioranza dei 2/3 dell’assemblea per essere validi; dal quarto scrutinio al sesto sarà necessaria la maggioranza dei 3/5 dell’assemblea; infine, dal settimo scrutinio in poi basteranno sempre i 3/5, ma dei votanti.
Per quanto concerne invece la Pubblica Amministrazione, l’articolo 27 del ddl inserisce nei principi ispiratori del suo funzionamento, oltre al buon andamento ed alla imparzialità, anche la trasparenza. Questa modifica sancisce per tabulas un principio già da tempo riconosciuto sia in dottrina che in giurisprudenza. Per il futuro resterà da capire se i cittadini potranno automamente ricorrere al giudice amministrativo lamentando una violazione del principio di trasparenza oppure se questo rimarrà semplicemente enunciazione rivolta solamente alla legificazione e non alla tutela processuale.
Un’altra modifica di grande peso sarà quella che coinvogerà il titolo V della Costituzione, dedicato alla disciplina costituzionale degli enti locali. Innanzitutto l’art. 29 del ddl prevede l’abolizione di ogni menzione alle provincie all’interno della Costituzione: tale modifica si pone in continuità con le riforme già varate dal Governo tecnico della precedente legislatura e dai governi di centrodestra ancora precedenti. In secondo luogo l’articolo 31 modifica il riparto delle competenze tra Stato ed autonomie locali, scrivendo così un altro capitolo nella lunga storia di modifiche e cambiamenti all’articolo 117 Cost.
A Cambiare sarà in primo luogo il sistema di ripartizione delle competenze all’interno dell’articolo 117: il nuovo criterio sarà quello detto “a doppia lista con clausola residuale a favore delle autonomie locali”, ossia saranno elencate da una parte le competenze esclusive dello Stato e dall’altra quelle esclusive delle regioni; tutte le materie che non rientreranno in una delle due liste saranno considerate di competenza delle Regioni. Tra le materie più “di peso” che saranno di competenza esclusiva dello Stato, si segnalano: l’energia, le infrastrutture strategiche ed il sistema di protezione nazionale civile. Sempre in tema bilanciamento tra competenze, vi sarà anche una clausola di salvaguardia a favore dello Stato: “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Al momento è troppo presto per pronunciarsi sull’utilità o la nocività di una simile clausola, peraltro esistente anche in altri ordinamenti nazionali, in assenza di una giurisprudenza costituzionale sul tema.
Cambieranno anche le previsioni in tema di emolumenti dei consiglieri regionali, che non potranno mai essere superiori a quelli percepiti dai sindaci dei capoluoghi di regione; inoltre sarà prevista una specifica procedura di “commissariamento” per gli organi di governo regionali o gli Enti Locali che versino in uno stato di “grave dissesto finanziario”: il governo potrà intervenire nella gestione una volta sentito il parere del Senato, che avrà 15 per rispondere una volta interpellato. Allo stato attuale non sembrano rinvenibili indicazioni sulla vincolatività o meno del parere, anche se dal tenore letterale sembrerebbe più un parere meramente consultivo.
In ultimo è da notare che l’elezione dei giudici della Corte Costituzionale, per la parte spettante al Parlamento, sarà ripartita nel modo seguente: 3 giudici saranno espressi dalla Camera, i restanti 2 dal Senato
(dott. Nicolò Sanguineti)
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